MEGLIO DIRLO CHE SCOPRIRLO ovvero DELL’ELOGIO DELL’ERRORE
Pillole di Management.
Un’azienda in funzionamento è, tra l’altro, un agglomerato di individui che hanno funzioni e responsabilità diverse, ma che debbono tutti procedere quotidianamente applicando regole, regolamenti, prassi, più o meno formalizzati, con lo scopo di produrre valore (ricchezza) nel più breve tempo possibile, nella quantità maggiore possibile, al costo più basso possibile.
Qualunque azienda produce valore trasformando la materia prima in denaro. La materia prima può essere ferro da trasformare in tondino, ma anche la richiesta di un cliente di difenderlo in un tribunale. In tutti i casi il risultato finale sperato è il denaro.
Ma sia in un’acciaieria che in uno studio legale la produzione di denaro passa per l’applicazione di procedure che hanno lo scopo di standardizzare, per quanto possibile, i comportamenti degli agenti (operai, dirigenti o procuratori) per sfruttare l’economia di scala che deriva dal prestabilire cosa fare in tutti quei casi in cui un caso si può trasformare in un fenomeno. Cioè in tutti i casi in cui la realtà puntuale può ripetersi n volte sempre uguale o almeno simile e quindi la migliore decisione assunta la prima volta che si è affrontato il singolo caso potrà essere ripetuta, senza bisogno di ripercorrere ogni volta il processo analisi-decisione-azione.
Quando questo processo si applica ad un fenomeno, cioè a tutti i casi che hanno caratteristiche comuni, si crea una procedura che si formalizza in un manuale operativo, cioè in un documento aziendale che omogeneizza i comportamenti partendo dalla regola del 3CQ.
La regola del 3CQ è fondamentale in qualunque azienda: cosa c’è da fare, chi lo deve fare, come lo deve fare, quando lo deve fare. Essa è alla base dell’organizzazione aziendale e garantisce che i comportamenti degli agenti non siano affidati alla individuale autodeterminazione, cioè alla scelta del singolo assunta di volta in volta. In qualunque organizzazione costituita per produrre qualcosa da vendere che non sia un’opera d’arte irripetibile, è necessaria una elevata standardizzazione dei comportamenti degli agenti, che siano dei semplici operatori o degli alti dirigenti. Anche chi si occupa di ideazione, cioè il creativo dell’azienda, deve operare secondo modalità per quanto possibile standardizzate, per esempio nella comunicazione con il resto degli operatori, pena l’inefficacia del suo agire.
Solo al vertice aziendale, e solo per le attività di determinazione strategica è consentito, in parte, di essere svincolato dalle procedure e questo perché chi determina le strategie aziendali opera sul confine, sul limes tra azienda e realtà esterna. L’osservazione e la pratica di quanto accade nella realtà esterna, che per definizione è mutevole ed eterogenea, è necessaria per cogliere le opportunità ed assumere le decisioni strategiche: produttive, commerciali, eccetera. Queste decisioni strategiche a loro volta si trasformeranno in nuove procedure una volta interiorizzate nell’azienda.
È questa una estrema semplificazione che espongo per arrivare ad un suggerimento manageriale che nasce dalla mia diretta esperienza.
L’esistenza di procedure standard ha bisogno di controlli. In qualunque organizzazione non si può fare a meno che un soggetto, svincolato da ruoli produttivi, controlli l’applicazione delle regole procedurali con il doppio scopo di rilevare gli eventuali errori di comportamento degli agenti nell’applicarle, ma anche di verificare nel tempo la tenuta, l’efficacia e l’efficienza di quelle regole.
Questa seconda è la funzione principale dell’audit in quanto le regole e le procedure sono affette per definizione da due limiti: sono imperfette e soggette ad obsolescenza.
Imperfette perché non è detto che nel momento in cui erano state redatte fossero noti tutti gli elementi della realtà aziendale che dovevano andare a regolare. Soggette ad obsolescenza perché la realtà aziendale è dinamica e quindi una regola valida oggi potrebbe diventare inefficace, inutile o controproducente tra un anno. In ogni caso compito dell’audit è intanto quello di assicurare al vertice aziendale che non vi siano errori di comportamento nell’applicazione delle regole vigenti tali da comportare rischi aziendali ovvero che, se i rischi sono emersi, siano immediatamente affrontati e ridotti, se non è possibile eliminarli.
Normalmente dal mancato rispetto delle regole da parte dell’agente consegue una sanzione. Le regole debbono essere “norme perfette” in senso giuridico, cioè comportanti una sanzione, perché il timore della sanzione deve fare premio su superficialità, pigrizia, distrazione, mancanza di condivisione ecc. dell’agente.
È anche vero, però, che dobbiamo accettare come ineluttabile il fatto che qualunque azienda, anche la meglio organizzata, ha un tasso di errore maggiore di zero. Gli errori prodotti dalla imperfezione delle regole sono connaturati alla regola stessa che è pur sempre frutto di una applicazione del pensiero umano nel processo di analisi-decisione-azione. In ciascuna di queste fasi è presente un tasso di approssimazione non eliminabile. Il tasso di approssimazione caratterizza anche l’attività di controllo che non potrà mai essere totale anche solo perché avrebbe un costo insostenibile.
Se il tasso di errore è maggiore di zero, un modo efficace per approssimare a zero il tasso del rischio conseguente all’errore è “premiare” chi scopre l’errore. Chi rileva l’errore è un benefattore dell’azienda perché consente di porre rimedio all’imperfezione della regola procedurale (se l’errore si manifesta, anche se prodotto volontariamente dall’agente, è sempre vero che la procedura era imperfetta e quindi non pienamente efficace) e permette il contenimento del rischio derivato. Le norme sullo whistleblowing sono, tra l’altro, un tentativo di intercettare errori (in questo caso comportamenti illegittimi) al costo più basso possibile.
Ma fidare sul fatto che qualcuno comunichi l’errore di un collega è miope, ha un impatto modesto e può comportare alterazioni del clima aziendale più dannose dei rischi prodotti dallo stesso singolo errore denunciato. Errore che spesso è di per sé di modesta entità, preso singolarmente, ma può determinare gravi danni se continua ad essere ripetuto nel tempo.
E’ sicuramente di più grande aiuto se si formalizza in azienda che colui che compie l’errore è “premiato” qualora lo faccia emergere e, così facendo, consenta di affrontare tempestivamente i rischi derivanti.
“Meglio dirlo che scoprirlo” è oltretutto uno slogan che aumenta il senso di appartenenza anche per gli agenti più lontani dal vertice aziendale che si sentiranno coinvolti nella fatica quotidiana di migliorare i risultati aziendali essendo divenuti consapevoli che ogni errore intercettato diminuisce il tasso di incertezza ineludibile in qualsiasi organizzazione produttiva.
Una volta introdotta la regola del “meglio dirlo che scoprirlo”, il premio deve essere concreto e direttamente proporzionale alla gravità del fatto, ma anche inversamente proporzionale al livello di evitabilità dell’errore. Se l’errore era facilmente evitabile, il premio sarà minore o nullo. Di converso e con gli stessi criteri, ma invertiti, le sanzioni per chi non avrà rilevato il proprio errore saranno più marcate. Questo metodo ha inoltre il grande vantaggio di ottenere l’efficientamento delle procedure aziendali ad un costo ben più modesto degli incarichi a consulenti esterni, ma anche dello scatenamento invasivo dei controllori interni.
Nella mia esperienza, da quando introdussi questa regola, chi si trovò sobbarcato di lavoro fu la funzione di controllo rischi che vide crescere sempre più le auto-segnalazioni di errori. Errori che, opportunamente processati, consentivano alla funzione organizzazione in primis, ma poi anche a tutte le funzioni aziendali, di valutare i singoli casi e provvedere alle azioni correttive conseguenti.
Altra iniziativa di grande impatto fu quella di pubblicizzare, in forma sintetica, a tutti i dipendenti gli errori rilevati in modo da diffondere la cultura dell’“elogio dell’errore” come parte integrante del business.
Anche per il vertice aziendale i benefici non furono pochi, potendo contare mensilmente su report ben strutturati capaci di mettere in luce i limiti delle procedure aziendali esistenti, il grado del loro progressivo miglioramento e l’impatto dei rischi assunti ed evitati.
Il perseguire politiche esclusivamente punitive è la dimostrazione della debolezza di un management incapace di trasformare la minaccia in opportunità.
È un metodo applicabile in qualunque azienda, dalla più piccola alla più grande…
Provare per credere…
Avv. Dino Crivellari