di Avvocato Francesca Crivellari
La lettura della Riforma Cartabia assume un sapore diverso se a leggerla è un avvocato della “vecchia guardia” o un professionista appena approdato ad una delle professioni più antiche del mondo.
Ed infatti, ciò che colpisce chi esercita da decenni è senz’altro la formalizzazione di un approccio “diffidente” alla figura dell’avvocato. Basti esaminare il titolo dell’art. 121 c.p.c. alla cui formulazione originaria – “Libertà di forme” (degli atti processuali) – viene aggiunta una specificazione non di scarso rilievo: “Libertà delle forme. Chiarezza e sinteticità degli atti”.
I due nuovi principi di “chiarezza e sinteticità”, che già avevamo incontrato in alcuni protocolli (v. quello per la formulazione degli atti in Cassazione), si eleva a rango di norma del processo, a voler richiamare l’attenzione degli avvocati sulla necessità di essere chiari nell’esposizione dei fatti e delle tesi giuridiche esposte (come se non fosse già un loro primario interesse far ben comprendere, prima di tutto al giudicante, le proprie tesi giuridiche), ma anche “sintetici”, ossia non prolissi e ridondanti.
Si introducono dunque due concetti che, per come formulati, sono vaghi e generici e dunque di difficile applicazione se ad essi si pretende, come dovrebbe, ricollegare una qualche forma di sanzione. Ed infatti, un precetto senza sanzione è uno “rimprovero preventivo”, un “monito”, più adatto ai banchi di scuola che alle “cattedre di un tribunale” (come cantava un grande cantautore italiano ormai scomparso).
Per vero, una sanzione vera e propria, sotto il profilo dello svolgimento del processo, manca. Non è un caso, ad avviso di chi scrive. Imporre alla classe forense le modalità di redazione degli atti a pena di inammissibilità, avrebbe probabilmente creato perplessità anche dal punto di vista costituzionale, visto che l’art 24 non è stato ancora scalfito.
Ma si è voluto comunque munire tale “monito” di una sanzione, laddove, all’art. 46 disp. Att. c.p.c. si dà la possibilità al giudice di tenere conto del mancato rispetto dei suddetti (generici) principi da parte del legale prolisso, in sede di liquidazione delle spese. Dunque, non una vera a propria insufficienza in pagella per aver articolato in modo non chiaro e non sintetico il proprio scritto, ma senz’altro una punizione difficile da contrastare, proprio in ragione della genericità dei criteri in virtù dei quali verrà applicata.
La Gazzetta Ufficiale è ancora fresca di stampa e già l’impatto pratico del principio della sintesi ispira alcuni provvedimenti, anche in giudizi ai quali, ratione temporis, non sia applicabile la riforma. Ed allora ecco che un giudice del Tribunale di Roma, nel concedere il termine per note in sostituzione della discussione orale, ha disposto che lo scritto non debba superare le 4 pagine in formato A4, carattere 12 interlinea 1,5. Ha dimenticato di indicare il font, lasciando agli avvocati ampia scelta di campo! Ed ancora. All’esito di un’udienza più volte rinviata per la precisazione delle conclusioni per l’avvicendarsi del magistrato incaricato, il giudice, nella contumacia di una delle due parti ed in assenza di richiesta di termine per note da parte dell’unico avvocato costituito, ha ordinato a quest’ultimo di “riassumere” i precedenti scritti difensivi in una breve nota da depositarsi prima dell’udienza, rinviata nuovamente per la precisazione delle conclusioni.
Ma è nell’art. 46 disp. att. C.p.c, che risiede, sempre ad avviso di chi scrive, il vero “cavallo di Troia” della riforma. Vale la pena riportare integralmente i nuovi commi IV e V, per coglierne appieno l’importanza “epocale”:
il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell’atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale
il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri de limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.
Ebbene, tale norma introduce la nuova figura degli “schemi informatici degli atti giudiziari”, muniti di “campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo”, nonché “i limiti degli atti processuali”, che verranno stabiliti in ragione di: valore, tipologia, complessità, numero delle parti, natura degli interessi coinvolti.
Dunque, con normativa secondaria, verrà indicata all’avvocato il LIMITE QUANTITATIVO dell’atto depositabile, e dunque, di fatto e presumibilmente (non si vede quale altra possibilità vi sia), quanti caratteri possano essere contenuti nell’atto. Ancora in base all’unica interpretazione possibile, maggiore è il valore (petitum) della controversia, più lungo potrà essere l’atto! E’ possibile che si arrivi a stabile la lunghezza degli atti in base al fatto che siano ricorsi per decreto ingiuntivo, piuttosto che cause di natura condominiale, o di separazione e divorzio oppure in base al tipo di rito adottato. Insomma, una serie di valutazioni che il legislatore (secondario) dovrà fare ex ante, predeterminando la griglia nella quale l’avvocato dovrà stendere le proprie deduzioni ed eccezioni. Di fatto, quindi, una standardizzazione degli atti che a monte prevede una standardizzazione delle controversie e quindi dei diritti che in esse si tenta di far valere, sull’altare di un efficientamento del processo e quindi di una sua presunta e tutta da dimostrare, velocizzazione.
L’utilissima relazione pubblicata sul sito della Suprema Corte di Cassazione dedicata alla Riforma Cartabia[1], nel commentare il nuovo testo dell’art. 46 disp att. C.p.c., osserva sapientemente:
“In caso di previsione di un limite massimo di battute, si è posto il problema se il campo a compilazione libera possa o meno consentire l’inserimento di battute superiori al limite massimo. Infatti, qualora ciò non fosse consentito dal sistema informatico, e cioè qualora il sistema non consentisse di depositare atti con un numero di battute superiore a quello massimo consentito, ci sarebbe il rischio di determinare, per via telematica, una sorta di inammissibilità di fatto, non prevista dalla legge e, peraltro, esclusa dalla legge delega.”
La Cassazione, ancora una volta, ha centrato il punto!
L’avvocato della vecchia guardia, malizioso e malpensante (oltre che, per legge, prolisso!), intravede in queste novità una serie di future evoluzioni poco commendevoli. L’avvocato di nuova generazione, invece, sarà probabilmente sollevato dal lungo percorso di formazione che prevede la creazione di propri personali standard che, in quanto personali appunto, sono inclini ad evolversi con la maturità e con l’esperienza, comprensiva di errori e bocciature da parte della Giurisprudenza nell’esercizio della sua vera funzione, che non è quella di apporre correzioni con la penna rossa o blu a seconda della gravità dell’errore redazionale, ma di stabilire la ragione e riconoscere o negare il diritto.
Ma torniamo alle future evoluzioni cui la norma apre le porte. La modifica normativa va letta insieme ai numerosi articoli di stampa che, correttamente, hanno dato ampio spazio al tema dell’intelligenza artificiale ed all’utilizzo della stessa in vari settori del sapere, scientifico e non. Tra questi futuri utilizzi vi è quello in campo giuridico, con l’ausilio dell’AI per la redazione di sentenze e, perché no, degli atti giudiziari (si parla, tra l’altro di “giustizia predittiva”).
Ebbene, senza voler entrare nel merito di questo affascinante dibattito, vien da pensare che l’introduzione di standard redazionali volti a consentire ai sistemi telematici di estrarre agevolmente una serie di informazioni, se da una parte ha senz’altro un’utilità non difficile da intuire, e dunque correttamente foriera di future implementazioni, dall’altra lascia presumere che una serie di atti e fasi del processo verranno presto delegate all’AI che, attingendo ai format originati dalla modifica del citato art. 46 disp. Att. C.p.c., sostituirà la figura dell’avvocato, del cancelliere ed infine del giudice.
Contrapporsi ciecamente a questa evoluzione pare già anacronistico ed inutilmente nostalgico, ma porsi il dubbio che sull’altare dell’efficientamento del processo si stia trasformando pian piano l’arte oratoria di ciceroniana origine in un’attività compilativa, non è né nostalgico né illogico.
L’effettivo raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di ridurre durata e numero dei processi è senz’altro di difficile predizione (si può chiedere un aiuto all’AI…in funzione predittiva, appunto!). Certo è che non mancheranno innumerevoli procedimenti ispirati proprio dalle nuove norme, che necessitano di interpretazione e di consolidamento a livello giurisprudenziale. E gli avvocati, seppur sotto il monito della sintesi, sapranno certamente sollevare i giusti quesiti interpretativi.
Avv. Francesca Crivellari
[1]https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rassegna_riforma_Cartabia_-_settore_civile_no-index.pdf . Si evidenzia che la Relazione non è aggiornata rispetto alle date di entrata in vigore di alcune norme, poiché antecedente all L.197/2022 che ha modificato l’art 35 d-lgs- 149/22 in vari punti.
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