Consilium Fraudis. Sentenza 569/2017 – Corte di Appello di Bari – Sez.II
SENTENZA N. 569/2017 DELLA CORTE DI APPELLO DI BARI – SEZ. II^ – PRESIDENTE DOTT. EGIZIANO DI LEO – CONSIGLIERE DOTT. SALVATORE GRILLO – CONSIGLIERE ESTENSORE AVV. LEONARDO NOTA – PUBBLICATA IL 10 MAGGIO 2017 NELL’AMBITO DEL PROC. CIV. R.G. 1327/2012 TRA UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK (ORA DOBANK SPA) con l’ avv. Rocco Nanna C/ LAMANUZZI GIUSTINA + 4 (con gli avv.ti Di Bari – Armenio – Scardigno)
“Il consilium fraudis risulta in re ipsa allorquando vi sia stata una vendita contestuale di beni che avrebbe dovuto far presumere da sola la esistenza della consapevolezza da parte dei terzi acquirenti di arrecare un grave pregiudizio alle ragioni creditorie vantate dalla banca“
Con la sentenza in commento, la Corte barese ha accolto l’appello proposto dalla Banca avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 329/2012, con la quale veniva rigettata la domanda revocatoria, per la mancata prova del consilium fraudis dei terzi acquirenti.
In particolare, il Tribunale a quo, pur ritenendo sussistente, nella fattispecie de qua agitur, il presupposto della scientia fraudis, ossia della consapevolezza da parte del debitore di frustrare le legittime pretese dei creditori, reputava non adeguatamente comprovato dalle banche creditrici il contestuale presupposto del consilium fraudis, ossia della consapevolezza, da parte dei terzi acquirenti, del danno che l’atto posto in essere avrebbe provocato alle ragioni dei creditori, id est delle banche.
Secondo il Tribunale, infatti, non sarebbe stato provato alcun rapporto di parentela e/o affinità, anche semplicemente amichevole, tra venditore ed acquirente tale da rendere presumibile la conoscenza di qualche disegno che andasse oltre la monetizzazione del bene e né, tantomeno, risultava provata, sia pure in via presuntiva, la conoscenza dello stato di dissesto della debitrice, da parte degli acquirenti.
Rilevava il Tribunale, altresì, che la espletata CTU aveva anche escluso la sussistenza del presupposto oggettivo, consistente nella sproporzione tra il costo degli immobili venduti ed il loro effettivo valore di mercato e non riteneva applicabile, al caso di specie, il principio consolidato secondo cui, nel caso di vendita in blocco del patrimonio della debitrice, i due presupposti della scientia fraudis e del consilium fraudis devono ritenersi in re ipsa, in quanto vi erano stati tre diversi acquirenti.
La Corte, accogliendo la censura formulata dalla banca, ha accolto il secondo motivo di appello e cioè quello relativo ad un erroneo procedimento motivazionale inteso ad escludere la sussistenza del consiliun fraudis da parte dei terzi acquirenti.
Dai riscontri documentali, secondo la Corte barese, poteva emergere incontestabilmente un ragionevole sospetto da parte di qualsiasi acquirente avveduto e diligente; i primi due atti, infatti, venivano rogati nella stessa medesima data ed entrambi trascritti il giorno successivo! Sicché vi era stata una vendita contestuale di una pluralità di beni e tale circostanza, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, citato dallo stesso Tribunale a quo, avrebbe dovuto far presumere da sola la esistenza della consapevolezza da parte dei terzi acquirenti di ledere interessi di terzi creditori, essendo ormai de iure condito che “ in tema di azione revocatoria ordinaria, nel caso in cui il debitore disponga del suo patrimonio mediante vendita contestuale di una pluralità dei beni, devono ritenersi in re ipsa l’esistenza e la consapevolezza, sua e dei terzi acquirenti, del pregiudizio patrimoniale che tali atti arrecano alle ragioni del creditore, ai fini dell’esercizio da parte di quest’ultimo dell’azione pauliana” (cfr. Cass. Sez. III, n. 18034/2013).
Il Tribunale aveva, invece, ritenuto non applicabile il suddetto corollario in quanto trattavasi di vendita contestuale in favore di una pluralità di acquirenti e non già ad un solo acquirente.
La Corte non ha condiviso tale assunto del pur valorosissimo Giudice a quo, in quanto tutte le massime giurisprudenziali, che hanno consolidato l’orientamento di cui innanzi, hanno invero sempre citato espressamente una pluralità di acquirenti (usando sempre il plurale del relativo sostantivo) e non hanno affatto subordinato la conseguente presunzione probatoria al numero degli stessi.
Secondo l’adita Corte, infatti, un ulteriore elemento indiziario del consilium fraudis era da individuare nella scelta del medesimo notaio rogante, scelta che per prassi consolidata viene operata dall’acquirente, così come altro elemento indiziario era risultato dalla transazione, che provava la non estraneità degli acquirenti al “banchetto fraudatorio“ ordito in danno delle banche, nonché dalle stesse risultanze peritali circa la strana destinazione delle somme ricavate dalle vendite.
E’ evidente come la teoria della pluralità degli acquirenti non potesse reggere ad un esame logico dei fatti di causa presentando tutta la sua fragilità ed inconsistenza, in quanto in contrasto con il principio di ragionevolezza, sancito dalla nostra Carta Costituzionale.
La prova della partecipatio fraudis degli acquirenti lungi, invece, dal richiedere la conoscenza dello stato di insolvenza e del danno che si veniva a creare a scapito degli altri creditori, e, lungi dal pretendere “LA DIMOSTRAZIONE DELLA PRECISA SITUAZIONE PSICOLOGICA DI CONOSCENZA E DI OPINIONE NEL TERZO, PUO’ RITENERSI RAGGIUNTA IN VIA DI PRESUNZIONE SEMPLICE ATTRAVERSO LA DIMOSTRAZIONE DELL’ESISTENZA DI UNO STATO DI FATTO IDONEO, DI PER SE’, A RIVELARE AD UN SOGGETTO DI NORMALE PRUDENZA E AVVEDUTEZZA LA PRESENZA DI UNA SITUAZIONE DI DISSESTO” (cfr. Cass, 20.5.1990 n. 3302).
E anche in tal caso, preziose si sono rivelate le presunzioni, come mezzo di prova consistenti nella deduzione di un fatto ignoto direttamente ed immediatamente da fatti e circostanze noti, in quanto gravi, precisi e concordanti, da sole SUFFICIENTI A SORREGGERE IL CONVINCIMENTO DELL’ATTENTO E SCRUPOLOSO GIUDICE DEL GRAVAME.
Avv. Rocco Nanna
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