Economia del “razionale” vs/ economia comportamentale
Ho appena finito di leggere un libro molto interessante scritto da R. H. Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017. Il titolo è “Misbehaving, la nascita dell’economia comportamentale” (Einaudi, 2018). L’Autore sostiene che in economia bisogna accettare che gli “agenti“ non siano mossi esclusivamente da scelte razionali (a parità di qualità , acquisto il bene con il prezzo più basso), ma anche e soprattutto da abitudini, fisime, emozioni, condizionamenti ambientali, ecc. Quindi per assumere decisioni sul marketing, i prodotti, i prezzi ecc. bisogna tener conto più dei comportamenti empiricamente osservabili che del cosiddetto “razionale“.
In base alle teorie classiche, contestate da Thaler, “l’economia si distingue dalle altre scienze sociali per la convinzione che la maggior parte (la totalità?) dei comportamenti possa essere spiegata assumendo che gli agenti hanno stabili e ben definite preferenze e compiono scelte razionali coerenti con quelle preferenze in mercati che (alla fine) si equilibrano“ (ivi, pag.207).
Il lavoro di Thaler cerca di dimostrare ,anche con evidenze empiriche e sperimentali, che questo fondamentale paradigma della teoria economica classica è fallace.
La questione non è di poco momento perché grazie a quel paradigma si giustifica,tra l’altro, l’impostazione della scuola di Chicago, cioè del neo liberismo tuttora imperante nelle economie occidentali, che vede nel mercato un luogo virtuoso in quanto la razionalità di coloro che vi operano non potrà che consentire il miglior equilibrio tra domanda e offerta, tra redditi e rendite, tra guadagni e perdite e così via.
Leggendo, mi è venuto in mente un episodio della mia vita professionale. Eravamo nel 2000 a Verona e stavo lavorando per la ristrutturazione di una banca in gravi difficoltà con l’obiettivo di trasformarla nel primo intermediario specializzato in gestione dei crediti cattivi. In questa attività ero supportato dai consulenti della McKinsey i quali si affannavano a spiegarmi quale fosse il “razionale“ della loro impostazione che, grazie proprio al “razionale“ , non poteva essere che la strada giusta per mettere a terra quel progetto per allora avveniristico.
Non avevo letto Thaler (il libro è del 2015), ma che ci fosse un limite nel sostenere che il “razionale “ era la via maestra lo sospettavo già. Capitava spesso che il punto di vista dei consulenti non coincidesse con il mio , più incline ad accettare che la complessità del mondo reale non potesse venir ridotta da una regola meramente razionale e che quindi fosse più opportuno adottare strutture flessibili e capaci di adattarsi ai comportamenti umani piuttosto che ingabbiarli.
Considerando il successo che quella iniziativa ha ottenuto, tant’è che è tuttora forse il miglior operatore del settore in Italia, non mi sono mai pentito di aver fatto valere la mia posizione anche se in contrasto con quella dei pur autorevoli consulenti.
Ricordo che un giorno , per cercare di convincerli che la mitizzazione del “razionale“ non fosse sempre il miglior paradigma a cui ispirarsi portai questo esempio. Negli anni 60 , l’Anas decise di allargare la via Aurelia, allora a due carreggiate, a causa dell’aumentato traffico automobilistico dovuto al boom economico che aveva prodotto un sensibile aumento degli incidenti frontali dovuti alla crescente diffusione di auto con velocità medie più elevate che in passato. In una strada a due corsie di marcia , finché il traffico è modesto e finché le auto vanno tutte più o meno alla stessa bassa velocità , le probabilità che si verifichino incidenti dovuti ai sorpassi sono relativamente modeste. Ma quando il traffico aumenta e si intensifica la presenza di auto che vanno a velocità diverse aumenta il numero dei sorpassi e conseguentemente il rischio di incidenti. Sarebbe stato ovvio raddoppiare la strada portandola a 4 corsie come è oggi, due per ciascuno senso di marcia, di cui una destinata al traffico più lento e l’altra riservata al sorpasso.
Probabilmente per limitare l’investimento, fu deciso di ampliare l’Aurelia aggiungendo una sola corsia destinata esclusivamente al sorpasso, consentendolo alternativamente per 1 km alla volta per ogni senso di marcia. Il razionale di questa scelta era: è talmente pericoloso superare utilizzando la terza corsia quando è riservata al traffico in senso inverso che nessuno si azzarderà a correre questo rischio perché a meno di 1 km avrebbe avuto la possibilità di farlo in sicurezza.
Nel giro di pochi anni il numero crescente di lapidi lungo la strada dimostrò che il “razionale“ non aveva saputo affermarsi sui comportamenti umani. Di fatto l’automobilista, mentre in una strada a due corsie, se non altro per la ristrettezza dello spazio a disposizione, prova il sorpasso di solito in condizioni di accertata mancanza di rischio, avendo a disposizione lo spazio della terza corsia assumeva comportamenti più rischiosi e meno razionali.
Consiglio la lettura di “Misbehaving”.
Avv. Dino Crivellari