Piano di azione della Commissione europea sugli Npls: poche luci e molte ombre.
Tra poco la Commissione Europea discuterà il documento preparato dalla commissaria Mairead McGuinness a parziale conclusione di un processo, avviato nel 2017 dal Consiglio della UE, quale piano organico per affrontare il problema degli Npls delle banche europee.
La preoccupazione è che nel giro di poco tempo il sistema bancario europeo si trovi a gestire fino a 1400 miliardi di crediti difficili (lo dice Andrea Enria, capo della vigilanza della BCE), valore ben più alto dei 1000 miliardi prodotti a suo tempo dalla crisi del 2007/2008. La Commissione sostiene di voler evitare il rischio che questa enorme massa di sofferenze impedisca alle banche di poter far credito alle imprese ed alle famiglie finanziariamente sane, ostacolando così la ripresa economica post COVID.
Per evitarlo l’idea, sempre la stessa da anni, è quella di facilitare la fuoriuscita dei crediti cattivi dai bilanci delle banche. Come al solito non ci si pone mai il problema di come evitare che centinaia di migliaia di “buoni clienti” delle banche entrino in crisi per effetto della recessione anche da COVID e che quindi diventino “cattivi” clienti. No, ci si limita a dare per scontato che questo accadrà ineluttabilmente e ci si limita ad operare per evitare problemi di stabilita del sistema creditizio. Preoccupazione sacrosanta, ma limitata.
Già questa miope impostazione dimostra la debolezza strategica di un organismo che dovrebbe operare per il benessere di tutti i cittadini, famiglie e imprese, e non solo in favore di uno specifico settore economico, pur importante, come le banche.
Le “Luci”.
Finalmente la Commissione concorda sulla necessità di creare delle Bad Bank nazionali per gestire gli Npl dovuti anche alla crisi pandemica. È giusto ricordare che quando nel 2015 l’Italia si era prodigata per portare avanti la propria proposta di Bad Bank nazionale, gli organismi europei si erano messi di traverso costringendoci ad approvare in fretta e furia la normativa sulle Gacs, cioè le garanzie statali che coprono i rischi dei fondi che sottoscrivono i titoli senior, emessi dalle società di cartolarizzazione, che comprano i crediti cattivi delle banche.
Per quanto ci riguarda è un ripensamento un po’ tardivo, visto che il Tesoro italiano in questi anni si è esposto con Gacs per quasi 70 miliardi di euro e che, con ogni probabilità, atteso l’andamento negativo del settore dei recuperi, vedrà attivare quelle garanzie a beneficio di fondi speculativi e oneri a carico del debito pubblico.
È tuttavia un provvedimento che va nella giusta direzione di affidare le sorti di milioni di debitori in difficoltà ad organismi che, se ben gestiti e non orientati esclusivamente al profitto, saranno più pazienti e comprensivi verso i debitori, molti dei quali vittime incolpevoli dell’accavallarsi di crisi su crisi, prima quella del 2007/2008 ed ora quella del COVID. Se le Bad Bank nazionali saranno orientate, fin dove possibile, alla risoluzione dei problemi e non a distruggere imprese e famiglie il provvedimento sarà stato utile. Ci si aspetta che una Bad Bank nazionale, pubblica o semi pubblica, sia in grado di “non buttar via il bambino con l’acqua sporca”.
Purtroppo le “Luci” finiscono qui.
Le “Ombre”.
Il resto del provvedimento ha parecchie ombre.
La Commissione, preoccupata che il dilagare dei crediti cattivi possa avere “ricadute transfrontaliere”, prevede, tra l’altro, alcune iniziative che hanno come obiettivo anche quello di ridurre la “frammentazione finanziaria”. Detto in chiaro, le autorità europee ritengono che in Europa 2000 banche siano troppe e tentano di favorire le aggregazioni tra istituti anche attraverso le regole del nuovo Piano di azione sugli Npls.
Chi ne farà le spese saranno le banche locali, quelle più vicine al territorio, che hanno maggiore sensibilità e percezione del tessuto economico in cui operano, cioè, per l’Italia, quelle più vicine alle PMI e agli artigiani che sono il 90% della nostra economia.
Chi ne beneficerà saranno le grandi banche transnazionali, ormai controllate dai fondi di investimento, del tutto disinteressate alle vicende dei sistemi economici parcellizzati come il nostro, ma sicuramente orientate alla massimizzazione del profitto ed alla gestione del cospicuo risparmio liquido degli italiani (come ha detto anche il Copasir nella sua ultima relazione dello scorso autunno).
Lo scopo della BCE sembra quello di portare sotto la propria vigilanza il maggior numero di intermediari creditizi, riducendo il numero di quelli cosiddetti “meno significativi” che sono ancora vigilati dalle banche centrali nazionali.
Questo progetto passa anche attraverso i meccanismi e le regole di dismissione degli Npls.
Quando le banche sono costrette a vendere a sconto crediti cattivi, debbono registrare gravi perdite che le costringono a corpose ricapitalizzazioni ovvero ad aggregazioni con altre banche, cioè a diventare più grandi e quindi a passare da “poco significative” a “più significative”. Cioè a passare, nel nostro caso, dalla vigilanza della Banca d’Italia a quella della BCE. Il caso più eclatante per noi è stata la malaugurata riforma del credito cooperativo che ha concentrato sotto poche grandi holding “più significative” alcune centinaia di BCC, le banche più vicine ai nostri territori fino a quel momento vigilate dal Regulator nazionale.
La Commissione vuole anche evitare che le “vendite di emergenza” di Npls possano compromettere la stabilità del sistema creditizio, per cui stabilisce che tali cessioni siano una attività ordinaria delle banche. A questo fine norme come il calendar provisioning e la nuova definizione di default, attivate da quest’anno, costringeranno le banche a cedere sistematicamente non solo i crediti non performing, ma anche i crediti che “forse” diventeranno non performing: i cosiddetti UTP, relativi ad aziende in difficoltà finanziaria ma non decotte. E ciò nonostante che la Banca d’Italia, per le L’ennesima volta a dicembre scorso, abbia dimostrato, dati alla mano, che le banche italiane nel tempo recuperano di più (e quindi perdono di meno) se gestiscono direttamente in proprio i crediti cattivi piuttosto che svenderli a sconto ai fondi speculativi. Forse sono più attente e capaci a “non buttar via il bambino con l’acqua sporca”.
Ma la Commissione europea fa orecchie da mercante e con il dichiarato nobile obiettivo di alleggerire le banche dalle sofferenze, prevede nel Piano una soluzione inusitata di enorme gravità.
Per rafforzare il mercato degli Npls, cioè aumentare la domanda, emanerà norme che, con l’intento di rafforzare e rendere più efficiente il cd “mercato secondario” degli Npls, consentiranno di vendere crediti cattivi anche a “privati”. Questo significa che i privati, cioè soggetti non sottoposti alle regole ed ai controlli stringenti delle imprese che esercitano il credito, si occuperanno di gestire gli scarti di produzione dell’industria creditizia.
Finora questo non era permesso.
Anzi è tuttora vietato che un soggetto non vigilato possa acquistare routinariamente crediti delle banche, buoni o cattivi che siano.
La questione è molto delicata.
Da oltre cent’anni il sistema bancario, proprio come ganglio estremamente sensibile del sistema economico perché raccoglie il risparmio dei cittadini ed eroga il credito a chi ne ha bisogno, è stato soggetto ad un progressivo ma sempre più stringente controllo pubblico. Fino al 1993, l’attività bancaria era esercitata in Italia quasi esclusivamente da aziende di natura pubblica o comunque sottoposte ad autorizzazioni o licenze della pubblica autorità, concesse dopo severe valutazioni degli esponenti bancari, della struttura organizzativa, dei sistemi di controllo, del capitale necessario, eccetera.
Il neoliberismo imperante dagli anni 80 aveva attenuato certi vincoli, ma dopo la crisi del 2007/2008 in Europa i meccanismi di controllo dei Regulators hanno fatto diventare il sistema creditizio iperegolato ed ipercontrollato. Ciò proprio anche nell’interesse della clientela delle banche, i risparmiatori, creditori delle banche, ma anche dei prenditori di credito, i debitori delle banche, che non dovevano essere vessati da comportamenti eccessivamente aggressivi ed al limite della legalità dall’istituto creditore.
Un cliente in difficoltà è pur sempre un cliente della banca, che ha scelto il credito bancario, forse in maniera a volte poco responsabile, ma fidando su una controparte comunque assoggettata a controlli e regole orientate alla tutela degli affari, ma anche dell’ordine pubblico.
Bene, per decisione della Commissione europea, questo cliente che, essendo in difficoltà andrebbe gestito con ancor maggior cautela e professionalità tecnica, viene abbandonato nelle mani di un privato che non è sotto il controllo della pubblica autorità e che avrà come unico obiettivo recuperare a tutti i costi la maggior quantità di credito ovvero ad appropriarsi del patrimonio del debitore senza alcun interesse alla possibile salvaguardia del valore dell’azienda ovvero della certa disperazione della famiglia che si vede sottrarre la casa.
Se la cessione a privati avesse riguardato esclusivamente i crediti in sofferenza verso aziende dichiarate fallite, non ci saremo preoccupati più di tanto. Un’azienda fallita è ormai marginalizzata ed è bene che venga liquidata nel tempo più breve possibile. Non c’è più interesse sociale a farla sopravvivere. Anzi.
Invece la posizione della Commissione e l’esortazione dei Regulator sono orientate a che i privati partecipino il più possibile all’acquisto dei crediti Npls anche verso aziende in difficoltà solo finanziaria e non decotte, che forse la prudenza del buon banchiere avrebbe potuto condurre verso il rientro in bonis.
Insomma, con un orientamento chiaramente ispirato dal desiderio di disintermediarie il sistema creditizio, la parte più delicata del mestiere della banca, la gestione di un rapporto critico, si prevede che venga gestita fuori dalla banca. Il che potrà continuare a far dire che i bilanci delle banche sono più solidi anche se, dal punto di vista macroeconomico, quel che conta è la massa di debiti cattivi di un Paese, sia che stiano nei bilanci delle banche piuttosto che in quelle dei cessionari. Il vero problema socioeconomico sono i debitori, e poi conseguentemente i creditori. Non il contrario.
La prima sensazione è che le autorità europee abbiano perso fiducia nei banchieri a cui una volta si chiedeva di dimostrare le massime capacità professionali proprio nel risolvere le situazioni critiche della loro clientela. Ora si chiede alle banche solo di liberarsi del problema. A dare i soldi a chi non ne ha bisogno sono buoni tutti. La vera arte del credito si esercita nel momento in cui il cliente diventa un cliente complicato.
Forse non ci si rende conto che in questo modo si stimola il moral hazard sia dell’erogatore che del debitore. Il primo, se eroga male, sa di poter contare su benefici regolamentari e fiscali (v l’uso delle DTA in Italia), il secondo, furbescamente, conta sul fatto che avrà più facilità a fare transazioni con il cessionario che ha pagato al 10% il suo debito di originarie 100.
Per ottenere il risultato e attirare il più possibile i privati ad acquistare gli Npls dalle banche, la Commissione prevede strumenti regolamentari e giuridici per favorire le cartolarizzazioni e rendere più efficiente il mercato secondario degli Npls. Si vuole cioè evitare che i privati siano restii ad acquistare Npls non potendoli trattare come una qualsiasi merce la cui gestione è tanto più proficua se è facile comprarla (attraverso le cartolarizzazioni semplificate e standardizzate), ma anche se è facile da rivendere su un mercato secondario attivo ed efficiente.
Insomma, il povero debitore, che si era affidato all’inizio alla banca, simbolo di correttezza e stabilità, quando si troverà in difficoltà, non solo cambierà interlocutore, un privato privo di controllo e regole, ma nel tempo potrebbe veder cambiare più volte il suo creditore per effetto della cessione del suo debito sul mercato secondario. Un loop infernale.
Ma, tranquilli, la commissaria McGuinness conclude: “ovviamente tutto ciò dovrebbe (non dovrà) avvenire garantendo un elevato livello di protezione per i mutuatari”.
Siamo curiosi di vedere come.
Avv. Dino Crivellari